Mercoledì 25 novembre si è tenuto un ulteriore incontro tra le OO.SS. e l’Amministrazione, inerente alla situazione Covid-19 presso le Sedi Estere.Come riportato dall’Amministrazione, i casi attivi al 24 novembre sono di 36 dipendenti a cui si aggiungono un carabiniere e due esperti, per un totale di 39 unità. Ad oggi, risultano guariti complessivamente 148 dipendenti, inclusi 7 carabinieri e uno stagista MAECI CRUI. I Paesi interessati sono i seguenti: Albania, Algeria, Argentina, Brasile, Canada, Egitto, Francia, Germania, Grecia, India, Indonesia, Libia, Macedonia del Nord, Mozambico, Perù, Romania, Russia, Serbia, Svizzera, Tunisia, Ucraina e Venezuela. Al 24 novembre non risulterebbero Sedi temporaneamente chiuse. Nel corso della pandemia sono risultate 65 le Sedi temporaneamente chiuse, di cui alcune anche più volte; la durata media della chiusura è stata di una settimana. I Paesi coinvolti sono stati 49. L’Amministrazione ha ribadito, ancora una volta, come l’interesse prioritario sia la tutela della salute dei lavoratori, anche se questa dovesse comportare una inevitabile riduzione dei servizi e un accumulo di arretrati.
Ha chiarito che, in caso di interdizione dell’Ufficio per sanificazione, questa avviene prevalentemente per una giornata o per lo stretto necessario. Contestualmente, la Sede provvede al tracciamento dei contatti stretti, ponendo gli interessati in Smart Working. Normalmente, il lavoro è stato organizzato in due o, in alcuni casi, più squadre che si sono alternate nella presenza in ufficio. Il numero complessivo di casi è inferiore all’1% e con 5.250 presenze, a vario titolo, è stato riscontrato un 3-4% di contagiati. La percentuale di Sedi temporaneamente chiuse è del 21% su un totale di 301. Ringraziando l’Amministrazione per il quadro generale fornito, non si può non condividere il buon esito della maggioranza delle situazioni emergenziali nel corso di questi lunghi dieci mesi. Occorre, però, riflettere. Se ciò è stato possibile, lo dobbiamo quasi esclusivamente alla fattiva collaborazione tra le forze sindacali e la DGRI, che nel tempo sono state in grado di calmierare e controllare situazioni che, al contrario, stavano scivolando verso l’emergenza anziché prevenirla.
Innumerevoli sono state le segnalazioni del nostro Sindacato, ricevute dal personale a vario titolo e come risultato di nostre opportune indagini. Restano però ancora alcune criticità che vanno urgentemente risolte. A nostro avviso, gran parte dei contagi si sarebbero potuti evitare adottando un “Protocollo” per le Sedi estere, come insistentemente da noi richiesto sin dall’inizio della Pandemia. Il Protocollo sarebbe stato uno strumento molto utile per i dirigenti delle Sedi estere, uno strumento di cui avvalersi per evitare prima e affrontare poi al meglio i casi di positività, attraverso una migliore organizzazione del lavoro.
Condividiamo la normativa vigente in materia, secondo la quale l’organizzazione dell’Ufficio estero viene gestita dal Capo Missione, unico dirigente in grado di poter essere a piena conoscenza dell’emergenza e delle direttive impartite dal governo locale, in particolar modo sulle disposizioni di Smart Working presso le Pubbliche Amministrazioni e gli eventuali provvedimenti in ambito di prevenzione sanitaria. La normativa italiana, in particolare, ha disposto che il Capo Missione debba attenersi scrupolosamente, per quanto concerne la presenza in Ufficio, alle disposizioni dettate in materia dalla locale Pubblica Amministrazione. Purtroppo, non pochi sono stati i casi in cui, determinati dirigenti non hanno applicato appieno le disposizioni locali in ambito di Smart Working, adducendo la necessità di erogare in via prioritaria servizi consolari – anche quelli non necessariamente urgenti – e di smaltire l’arretrato.
Questa soggettiva interpretazione è stata favorita, come si è detto, dalla mancata adozione di un unico Protocollo emanato dall’amministrazione centrale, cui attenersi in maniera univoca e perentoria, per adeguare la presenza in Ufficio alle disposizioni emanate dalle autorità locali.
Altre criticità si riscontrano nella mancanza di uniformità di gestione del personale in presenza, a volte senza squadre, a volte a più squadre, anche con personale che operava sia con l’una che con l’altra squadra, vanificando tale strategia; come anche nella non uniformità di intervento in presenza di casi di positività. Non poche sono state le situazioni in cui, nostri colleghi, si sono rivolti al nostro Sindacato per sapere “cosa bisogna fare in caso di positivo”, evidenziando una mancanza di “Protocollo” o di circolazione delle informazioni.
Secondo la nostra opinione, non è il massimo che sia un Sindacato a dover fornire indicazioni sulla gestione dell’emergenza sanitaria, ma, al contrario, tali indicazioni dovrebbero scaturire da una sinergia tra le varie componenti.
Un Protocollo a livello centrale che impartisse l’obbligo di attenersi alle disposizioni sanitarie locali e l’obbligo di applicazione delle direttive “in presenza” disposte alle locali PPAA, e una linea guida di comportamento in caso di positività, sarebbe stato uno strumento giusto e necessario. Utile a uniformare gli interventi di prevenzione, cura e organizzazione.
La collaborazione incessante di questi dieci mesi, come sosteniamo, ha sopperito a tale mancanza, affidandoci prevalentemente alla buona volontà e al coraggio di molti colleghi che sono stati parte attiva nel colmare le lacune derivanti dalla mancata adozione del Protocollo. Nonostante ciò, riscontriamo ancora oggi delle criticità.
E, in particolare, segnaliamo la situazione di Teheran che, sin dall’inizio della pandemia, non sembrerebbe aver seguito un comportamento di buon senso. Già nella prima ondata, per giungere alla chiusura degli Uffici e alla messa in Smart Working del personale, si sono dovuti raggiungere ben 7 casi di progressiva positività. Ancora oggi, nella seconda ondata, il personale risulterebbe in servizio al 100%, in nome dei “numeri”, ponendo in secondo piano la salute dei lavoratori. La Sede risulterebbe aver raggiunto ben 20 casi positivi totali su 60 componenti il personale, stabilendo l’inaccettabile record del 33%!! Questo Sindacato ritiene che, nello specifico, si siano superati abbondantemente i limiti accettabili e, pertanto
CHIEDE
il RICHIAMO IMMEDIATO A ROMA dei massimi dirigenti presenti in Iran.
Dopo dieci mesi, non possiamo permetterci ulteriori indugi.
La posizione della DGRI, secondo la quale non sarebbe possibile redigere centralmente un “Protocollo” o comunque delle direttive da emanare per i dirigenti presso le Sedi estere, non ci convince affatto! Nonostante le realtà locali siano variegate, non vi è alcun dubbio che le prassi da seguire in caso di positività siano le medesime per tutte le Sedi, che le prevenzioni siano le medesime, che l’organizzazione in squadre o meno, e la rigidità con la quale questa regola debba essere applicata, sia la medesima, che l’applicazione dello Smart Working secondo le disposizioni locali sia la medesima in tutte le Sedi (l’applicazione e non la percentuale di presenza in Ufficio). Del resto, il dirigente della DGIT, L.V., ci ha insegnato nel corso dei mesi che dare direttive da Roma per i Capi Missioni si può fare! Anche se, in questo caso, tali direttive non incontrano il nostro consenso. I numeri vengono dopo la salute dei lavoratori!
Roma, 7 dicembre 2020
LA SEGRETERIA