BUONI PASTO E DIRITTI IMPOSTI (?!)

Solo pochi giorni fa annunciavamo con tono (moderatamente) trionfale la prossima liquidazione dei buoni pasto per il personale che svolge il lavoro agile, in attuazione del CCNL 2022-2024, e auspicavamo nel contempo un’estensione dell’attribuzione dei buoni pasto a tutto il personale, indipendentemente dalla modalità di lavoro svolto.

Tale impostazione è coerente con passate e recenti pronunce dei giudici di vari gradi e giurisdizioni, tra cui, da ultimo, quella della Corte di Cassazione che, con l’ordinanza n. 25525 emessa il 17 ottobre scorso, ha sancito che anche chi lavora su turni abbia diritto al buono pasto, ove il turno abbia superato le sei ore di lavoro.

Tanto più sconcertanti appaiono dunque le notizie che ci giungono dalla nostra Amministrazione. Con atto unilaterale, senza alcuna ufficialità e apparentemente spalleggiata da una sigla sindacale ben presente in quel contesto, la Dirigenza dell’Unità per la Formazione ha comunicato al personale l’obbligo di cominciare, a partire dalla giornata odierna, ad aggiungere trenta minuti di “pausa obbligatoria” (verbatim) all’orario di servizio, proprio citando, tra l’altro, la suddetta sentenza della Corte di Cassazione.

A tale riguardo, ricordiamo che il personale impiegato presso l’Unità per la Formazione, il quale di fatto è impossibilitato a fruire del servizio mensa in quanto l’UpF è una sede distaccata, è assegnatario di un buono pasto sostitutivo, e svolge di norma la propria prestazione lavorativa su un orario giornaliero di 7 ore e 12 minuti, senza obbligo di svolgimento di una pausa.

Detta organizzazione del lavoro discende direttamente da una sentenza del 2005, che qui si allega, a favore dell’ex dipendente, Roberto Scippa, contro l’allora Ministero degli Affari Esteri, in cui il Tribunale di Roma diede ragione al dipendente, che non fruiva della pausa, riconoscendogli comunque il buono pasto.

In particolare si attira l’attenzione sulla motivazione della sentenza, per cui esisterebbe un’unica condizione cui collegare la fruizione da parte del lavoratore di due distinti diritti: il buono pasto e la pausa di trenta minuti.

Detta condizione è il superamento delle sei ore di lavoro.

E nel testo della sentenza si rimarca ciò, affermando che la fruizione della pausa non può essere intesa essa stessa quale condizione aggiuntiva per l’attribuzione del buono pasto.

Detta sentenza veniva formulata nel 2005 per fatti avvenuti tra il 1997 ed il 1999, in vigenza del CCNL 1994-1997, nello specifico citando l’art. 19 comma 4, il cui testo si riporta di seguito (nostro evidenziato, ndr):

4. L’orario di lavoro massimo giornaliero è di nove ore, ai sensi della normativa comunitaria. Dopo massimo sei ore continuative di lavoro deve essere prevista una pausa che comunque non può essere inferiore ai 30 minuti.

Per confronto, si cita ora l’art. 22 comma 1 CCNL 2019-2021, portato dalla dirigenza di UpF come fonte di diritto da cui discenderebbe l’obbligatorietà della pausa quale condizione per l’attribuzione del buono pasto:

1. Qualora la prestazione di lavoro giornaliera ecceda le sei ore il personale, purché non in turno, ha diritto a beneficiare di una pausa di almeno 30 minuti al fine del recupero delle energie psicofisiche e della eventuale consumazione del pasto, secondo la disciplina di cui all’art. 86 del CCNL 12 febbraio 2018.

Come si evince dal confronto tra i testi, nel “nuovo” CCNL la pausa è chiaramente definita un diritto, e non un dovere, ed è finalizzata al recupero delle energie psicofisiche, e della eventuale consumazione del pasto.

Da ciò discende che, ove la sentenza del 2005 riconobbe il diritto al buono pasto indipendentemente dallo svolgimento della pausa, e ciò fu fatto alla luce del testo del vecchio CCNL, a maggior ragione adesso tale sentenza è tanto più attuale, in quanto il nuovo testo del CCNL ha confermato che la pausa è un diritto, eventualmente ma non necessariamente finalizzato alla consumazione del pasto.

Formuliamo dunque le seguenti domande all’Amministrazione, e, in mancanza di riscontro, ci rivolgeremo ai competenti fori:

• Se il diritto alla pausa scatta oltre le sei ore, come è possibile che venga sottratta dall’orario di lavoro del dipendente?

• Se la pausa è un diritto, come può trasformarsi in un obbligo, e tra l’altro oltre l’orario di servizio?

Alla luce della normativa citata e di quanto su esposto, FLP-Esteri ha già diffidato l’Amministrazione dal ritirare immediatamente le istruzioni fornite al personale dell’Unità per la Formazione, e, ove fosse allo studio un piano di eventuale estensione dell’attribuzione dei buoni pasto anche al personale impiegato presso la Sede centrale, si richiederebbe nel contempo di avviare al più presto un’interlocuzione con questa FLP-Esteri e le altre OO.SS. riguardo le modalità operative con cui si intenderebbe mettere in atto tale previsione.

A tale proposito, concludiamo chiedendo a tutti i colleghi di segnalarci immediatamente qualunque fatto, atto o parola da parte della Dirigenza che sembri andare nel senso di imporre ai lavoratori l’inserimento in tabulato di “pause”, “intervalli”, o qualunque altra forma di giustificativo che costringa a prolungare in maniera illegittima la permanenza sul posto di lavoro oltre l’orario di servizio. FLP Affari Esteri – Coerenza, impegno, risultati.

FLP Affari Esteri – Coerenza, impegno, risultati